martedì 20 dicembre 2011

L’Africa, sublime e spoglia, si accartoccia e si riapre con tale velocità che è difficile intravedere i segreti racchiusi. Ma è sufficiente abbassare l’orecchio al suolo per ascoltare la voce della memoria.




Nelle terre desertiche le pietre taglienti marcano il territorio in percorsi lievitati nel nulla. I pozzi d’acqua sono lontani segreti. Non vedo l’orma di un uomo; il mio cuore è così leggero che neppure io lascerò una traccia.
 Così risposi ermeticamente, alla domanda di Moulay: - come ti appare la mia terra?

Nel sudore di un’asina quante partenze e ritorni, si possono leggere, per sentieri che nel nulla si inoltrano e dal nulla riportano indietro. Il senso delle cose si perde nel ronzare disattento delle mosche.
 Il pastore muto di Merzouga attende, al limitare del villaggio, gli animali delle famiglie della comunità per portarli al pascolo tra le dune, nella cocente caldera di sabbia dove non si vede un filo d’erba. Guida gli animali dove solo lui può arrivare, elfo del deserto. Ogni giorno cambia direzione e senza parole va a far miracoli.



Il Sahara è un animale silenzioso sdraiato di fronte a me, arcua il corpo composto da particelle microscopiche; in un falso riposo progredisce silenziosamente. La creatura distende le membra polverose sino ad arrivare in Algeria, in Mauritania, in Mali, nel Niger. Il corpo è attraversato da piste segnate con pire di sassi incrinati dal sole e altri sentieri appena accennati dal quotidiano andare. In questi miraggi di percorsi scorre il fiume dei bimbi, bestie da soma, scarabei smarriti e il correre rombante dei fuoristrada in cerca di avventura.

Moulay - sono convinto di aver visto, tra gli stucchi stupendi della moschea, microscopiche gocce di sangue.

E’ primo maggio a Meknes. Raccolte nell’ombra riposano le immobili macchie colorate degli abiti della festa. Il rumoroso ridere dei bambini spinge lontano il volo delle rondini che paiono tracciare nel cielo percorsi di fuga, improbabili vie d’uscita. In questa terra magnetica ogni cosa rimane incollata al suolo e l’anima è immobilizzata, stranita dal caldo, soggiogata dai miraggi. Resistono al tempo gli antichi splendori della casbah addormentata: moschee e hamam, odori di spezie e fruscii di sete preziose.





A Casablanca le immagini dei pirati arabi, i profumi degli unguenti miracolosi e la danza dei veli, sono lontani ricordi. Nella luce del sole accecante non provo neppure lontanamente ad immaginare tutto questo. Centinaia di venditori d’hashish e latte smaltate per i turisti, strade spezzate nella noia geometrica delle piazze anni sessanta, sguardi lontani, imbalsamati nella dura realtà di un mondo costretto a nutrirsi del ricordo di se stesso. Non c’è Humphrey Bogart e neppure le nebbie, ma solo polvere addossata alla polvere. La solitudine è affogata tra i portali, le fontane colorate, i miasmi irrespirabili e le ombre nei souk affollati all’inverosimile.

Dove si trascina questo paese duro, faticoso e nonostante tutto magico. Il caldo nella medina mi assale con il profumo del tè alla menta e l’odore pungente del sudore. 



Erg Chebbi. Erfoud. Rissani. Taouz. Il confine algerino.

Combatto continuamente con le mosche sfacciate e noiose. La locanda nel deserto è costruita a forma di cubo e l’aria è acqua bollente. Solo una lieve brezza spezza a tratti  il caldo e mi sembra di rinascere. 

Ouarzazate. Gole del Dades. Gole di Todrha. Tinerhir.

A Zagora un cartello indica la strada per Timbuktu: 52 giorni di cammello. Il percorso è costruito di frammenti, polvere e pulviscolo…come l’anima.

La fuga della luna piena e gli uccelli nervosi annunciano l’alba. La medina è affollata dalle richieste continue delle guide improvvisate e brigantaggio da poco: storpi, bimbi, gli uomini con i costumi sdruciti vendono l’acqua a bicchiere, ori, pelli di cammello e un festaiolo matrimonio per la strada.
Una donna si avventa sopra il mio piatto, scartato di lato perché troppo piccante, velocissima rapina il contenuto con le mani e imbocca il figlio legato alla schiena.

Ripide strade di montagna dell’Atlante e paesi d’argilla, poi la discesa verso l’arida piana nella direzione dei palmizi e delle oasi. Oltrepasso villaggi di cartone pressato e sbarramenti improvvisati a trattenere l’avanzata del deserto.





Il mio sguardo si perde affascinato a scrutare la grande duna; il tramonto la intimidiva giurandogli il buio e lei si ritraeva arrossendo. Sono estasiato e rapito ad osservare il mare di sabbia intorno. Un bimbo minuscolo si avvicina e mi dice affranto:- comme se trist eh?





Mi accorgo improvvisamente che sono alla ricerca di luoghi di pace 

in una terra che non conosce il riposo.








MAROCCO - TUNISIA - MERCATO DI TUNISI - MATMATA...

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